17 febbraio 2014 – Eurispes Rapporto Italia 2014 è un rapporto duro, che non lascia tregua alle responsabilità politiche, alle compiacenze giornalistiche, alla commiserazione nichilistica del Paese. Ma, soprattutto, l’aspetto da sottolineare della ricerca presentata due settimane fa a Roma, è che si tratta di un rapporto profondamente intriso di una ricerca etica, che cita da Confucio ad Antonio Gramsci nella speranza (a cominciare dall’empatica introduzione del presidente Gian Maria Fara) di convincere di una via italiana etica alla ripresa. Un rapporto illuminante, su questa possibile via, il quale, accanto alle considerazioni socio-politico-istituzionali, prende una posizione coraggiosa sull’economia, andando a ricercare le chiavi di un possibile rilancio del Paese nel concetto di economia di comunità e di territorio. Non capita spesso, nelle documentazioni istituzionali, di trovare posizioni tanto visionarie. L’Eurispes si sbilancia, parla di un nuovo modello di sviluppo, e non esita a chiamarlo sociale, nel quale l’Italia avrebbe (ha) carte importanti da giocare: a partire da un mondo bancario-finanziario potenzialmente adatto, per Dna e storia, a tornare social finance; per continuare con nuove formule che a livello nazionale possono rivelarsi vincenti: microcredito, reti di impresa e crowdfunding (si consiglia di scaricare per ognuna la pagina di riferimento, in quanto ricche di dati e di confronti internazionali).
UN MESSAGGIO SOCIAL
Il punto di partenza è negare la diffusa percezione che ci sia una contrapposizione tra economia reale e finanza. «La vera dicotomia – scrive il rapporto – è tra Globalizzazione ed economie di comunità: due mondi ciascuno dei quali ha un proprio settore bancario-finanziario e produttivo e che, nel loro complesso, sono contrapposti». In questo “duello”, l’economia sociale costituisce a sua volta «una nicchia», ma è la nicchia «maggiormente consapevole del bisogno di radicamento comunitario e territoriale delle economie e dei sistemi produttivi». Per riuscire nella sua sfida, questa economia sociale dovrà essere capace di «fondersi con il vasto mondo delle Pmi nella varietà delle forme giuridiche e imprenditoriali che queste si sono date».
DUE PROGETTI DI MONDO
«Non ci troviamo quindi – denuncia il rapporto – di fronte a una dicotomia tra economia finanziaria ed economia reale (viziosa la prima e virtuosa la seconda), ma a un conflitto tra due progetti di società: il progetto di “apartheid globale” della Globalizzazione, rivolto a proteggere e rafforzare gli interessi di 1/7 della popolazione mondiale residente nella aree ricche della Triade (Giappone, Unione europea e Stati Uniti); il progetto di “welfare mondiale” costruito con la cooperazione tra comunità e Stati per il benessere dei 6/7 della popolazione mondiale e fondato sui princìpi del “vivere insieme”, di economie di territorio e di comunità».
LA FORZA SOMMERSA
Il rapporto cerca poi di fornire qualche supporto statistico ai concetti di «“un altro mondo è possibile”, “un altro mondo esiste”, che è il mondo delle economie di comunità». Vengono snocciolati i dati relativi all’incidenza dalla piccola e media impresa e dall’impresa famigliare. Ma, soprattutto, si torna a sottolineare il ruolo propulsore e innovatore del «settore dell’economia sociale, che è stato spesso anticipatore della costruzione di forme alternative e socialmente orientate di organizzazione socioeconomica. Un mondo vasto dell’economia e dei servizi che è affiancato da una altrettanto significativa quota di presenza nel settore del credito. Le forme di credito cooperativo, nella loro varie articolazioni costituiscono intorno al 40% del credito nazionale, sia in Italia sia in altri Paesi».
UNA SCELTA OBBLIGATA
L’analisi prosegue elevando progressivamente il ruolo dell’economia sociale. Facendone un nuovo motore per quelle forme imprenditoriali rimaste escluse dall’evoluzione globale. «Dai dati analizzati si evidenzia un potenziale in queste forme di economia alternativa che oggi, per effetto della crisi, diventano elemento di attrazione e ipotesi di organizzazione economica per vasti settori dell’economia di mercato, che sino a oggi avevano trovato la propria collocazione dentro o ai margini dell’economia capitalistica e dei sistemi di welfare pubblico. Ricollocarsi dentro la prospettiva di economie di territorio e di comunità diviene, per gran parte dei settori produttivi, non una scelta tra le tante ma l’unica scelta possibile a fronte della loro scomparsa». Una scelta al punto obbligata da imporre un cambiamento di visione e di regolamentazione. Questa «scelta di sopravvivenza e di efficienza rielabora in forme nuove i princìpi e il funzionamento delle economie di mercato, così come chiaramente indicato, tra l’altro, nelle nuove leggi ed elaborazioni europee e nazionali sull’“impresa sociale”, che costituiscono un campo di convergenza tra iniziative sin qui separate».
FINANZA, RITORNO AL PASSATO
Il capitolo sull’economia sociale del rapporto Eurispes si chiude traendo le conclusioni per la nuova finanza che una tale visione social richiede. «È necessario individuare i passaggi necessari per consentire alla finanza di svolgere e rafforzare il ruolo che le è richiesto al servizio delle economie di comunità e di un progetto di Mondialità. Paradossalmente, il futuro dei sistemi finanziari richiede di riallacciarsi al loro passato, a quelle strutture del credito e della finanza e a quelle leggi istituite dopo la lezione di storia della crisi degli anni Trenta. Ripartire da lì, per andare poi verso le nuove innovazioni necessarie che tengano conto dell’evoluzione dei sistemi di mercato e di welfare dell’ultimo mezzo secolo».
A cura di ETicaNews