15 dicembre 2014 – Una brutta storia che riguarda alcuni lavoratori in Brasile, in cui protagonista è l‘industria della moda, che potrebbe però avere un lieto fine. E’ quella che sta accadendo negli ultimi giorni a San Paolo in Brasile, dove i fornitori della Renner, una vasta catena che vende vestiti molto conosciuta nel Paese, a fine novembre sono stati coinvolti in un grande scandalo di riduzione in schiavitù.
Nonostante fossero assunti regolarmente (con il libretto di lavoro), gli operai lavoravano in condizioni disumane: erano obbligati a turni di lavoro estenuanti, lavorando dalle 7 alle 21 anche il sabato e la domenica; erano pagati a cottimo (83 centesimi di reais a capo, 26 centesimi di euro) e la loro produttività era scandita dai tempi di cronometro, di recente sostituito da un altro mezzo di controllo: il numero di capi prodotti all’ora. Erano sottoposti a violenza psicologica, fisica e verbale.
Inoltre, subivano indebite detrazioni dagli stipendi: erano multati se non producevano abbastanza, se non lavavano i bagni, se non pagavano l’asilo aziendale e dovevano pagare i pezzi di ricambio che si rompevano nel lavoro. Spesso i lavoratori arrivavano alla fine del mese con il saldo negativo: avevano un debito con l’azienda, in pratica pagavano per lavorare. L’azienda, in ogni caso, non pagava. I soldi che rimanevano detratte le multe erano trattenuti, formalmente per ragioni di sicurezza. Se i lavoratori volevano andarsene, non riuscivano a ottenere gli stipendi trattenuti. In pratica, erano obbligati a restare. Le condizioni di vita non erano migliori. I lavoratori abitavano in una stanza comune con odore di muffa, le tende al posto delle porte, pericolose bombole a gas per cucinare, scarafaggi e topi.
A “salvare” i boliviani da questa schiavitù è stata un’ispezione del ministero del Lavoro, a cui è seguita una multa da 2 milioni di reais (625 mila euro) per la Renner, che potrà essere inclusa nella lista nera del lavoro schiavo. I due fornitori, Kabriolli e Betilha, sono accusati di traffico di esseri umani e tratta di esseri umani ai fini dello sfruttamento del lavoro.
Lo scandalo ha del paradossale. Renner, che dichiara di essere ignara dell’accaduto, è firmataria del Pacto de Erradicação do Trabalho Escravo del 2013. I due intermediari possedevano la certificazione di buone prassi nelle relazioni di lavoro della Associação Brasileira do Varejo Têxtil, rilasciata dalla società di revisione Bureau Veritas.
Ma la storia potrebbe avere un altro finale. Le autorità di San Paolo hanno raggiunto un accordo con i fornitori, i quali hanno accettato di pagare i salari e i danni morali ai lavoratori schiavizzati. Inoltre, a partire dal prossimo febbraio quando scadrà l’indennità di disoccupazione si sono impegnati a riassumerli.
Le autorità hanno però precisato che l’accordo non esenta Renner dalle sue responsabilità e né riconosce la legittimità della sua catena di produzione. L’accusa per la Renner è quella di dumping sociale.
Fausta Chiesa
A cura di ETicaNews