6 dicembre 2012 – La consegna degli “Ambrogini d’Oro”, domani al Teatro Dal Verme a Milano, avrà ancor più un profumo di etica. Fra coloro che riceveranno l’attestato di benemerenza civica ci sarà infatti anche AssoEtica, associazione che da anni si batte per portare l’etica nel business. Con un approccio particolare, un po’ fuori dal coro: «Siamo contrari ai sistemi che pretendono di certificare l’etica», dice Bruno Bonsignore, anima dell’associazione, di cui è stato uno dei tre co-fondatori insieme a Luigi Catellani e Francesco Varanini, tutti e tre presenti domani per ricevere il prestigioso riconoscimento. AssoEtica da un decennio (il primo partì nel 2003) propone corsi di formazione per figure di Ethics Officer (marchio registrato). Circa un centinaio coloro che hanno ricevuto l’attestato durante questi anni. Già utilizzando questa denominazione – invece di quella più diffusa di Csr manager, per indicare chi in azienda si occupa di responsabilità sociale d’impresa e, alla fin fine, di etica – AssoEtica marca una differenza non banale: sempre di etica nel business si tratta, è vero, ma c’è modo e modo di approcciarla.
Come mai avete scelto questa denominazione?
Nell’ambito della Csr ci sono tante caratterizzazioni possibili. Ci sembrava più giusto conferire una responsabilità personale più precisa, che questa denominazione potesse cioè essere più utile per identificare questo tipo di impegno nell’ambito dell’impresa.
In cosa il vostro approccio è differente?
Il nostro motto è: “L’etica è un’ottica”, definizione del filosofo Emmanuel Levinas, e per questo non è certificabile. Ed è quello che ci hanno poi detto tutti i docenti che sono venuti da noi, una sessantina in questi anni (fra cui personaggi del calibro di Zygmunt Bauman, Serge Latouche, Paolo Fabbri, Salvatore Veca, Richard Stallman, Archie Carroll, Maurizio Pallante, Stefano Zamagni, ndr). Ci tengo a dire che spesso sono stati molto modesti nelle loro richieste, a partire da Bauman, e una parte di loro ha addirittura fatto docenze gratuite. Per questo sulla nostra homepage metteremo tutti i nomi dei nostri docenti: il merito dell’”Ambrogino” è anche loro.
“L’etica è un’ottica”: può spiegarlo meglio?
Ogni essere umano ha un suo modo di vedere le cose, un’ottica appunto, in funzione della quale sviluppa parametri e criteri per definire cosa è etico o meno. Al di là della condivisione, fra gli esseri umani, dei concetti del bene e del male, tutto il resto è poco definibile: dov’è il confine tra etico e non etico? Per noi non si deve affermare un metodo in base al quale si valuta se un’azienda è etica o meno, ma occorre ospitare tutte le possibili ottiche e in base a quelle si può maturare una propria posizione, un proprio sistema di valori. Un comportamento è etico, allora, se rispetta i valori che un’azienda, o una persona, dichiara. Noi abbiamo chiamato questo processo, di definizione della propria ottica e di valutazione della coerenza dei comportamenti, l’Asseverazione Etica (marchio registrato, ndr): aiutiamo un’azienda a scoprire e definire i suoi valori, a cominciare dal profitto. Come dice Archie Carroll, che ha posto l’etica del profitto alla base della sua “piramide della Csr”.
Come si sposa il vostro approccio con la strumentazione della Csr, fatta di bilanci sociali, codici etici, linee guida, certificazioni?
Il problema nasce quando si pretende di affidare a degli strumenti, o meglio a dei metodi, il risultato finale, cioè dire se un’azienda è etica o meno. Noi contestiamo questo approccio, che però non vuol dire che non si possano utilizzare strumenti per aiutarsi a definire dei comportamenti. Se però un’azienda non dice con chiarezza come genera il profitto, può fare tante altre cose importanti e meritevoli, ma è azzardato dire che è etica solo sulla base del rispetto di determinati parametri o codici.
Come si fa a introdurre l’etica in azienda? Cosa dice la vostra esperienza al riguardo?
Vorremmo avere una risposta definitiva anche noi. Diciamo che le leve sono essenzialmente due. Una è dichiarare che fra i valori che si perseguono c’è anche l’interesse per l’altro, ivi compresa la natura che va ricompensata per le risorse che offre. E poi fare del proprio meglio per essere coerente con quei valori. Ma, ed è l’altra strada, anche a chi non è particolarmente sensibile sul tema, diciamo semplicemente che essere etici conviene.
Parlate anche di questo nei vostri corsi?
L’anno prossimo proporremo il corso “L’etica come fattore di riduzione dei costi”: l’azienda vive sempre più di sistemi di controllo, costosissimi; un’azienda etica, invece, con collaboratori coinvolti, motivati, ricompensati per gli obiettivi raggiunti, può ridurre di molto questi costi. Un altro corso sarà “Comunicare l’etica aziendale a costo zero”: sono parecchi, infatti, gli imprenditori che non sono consapevoli delle cose buone che fanno e quindi non le comunicano. Aggiungo che da un paio d’anni, quando per un corso raggiungiamo un numero minimo di iscrizioni che già ci ripaga delle spese, apriamo fino a quante persone l’aula può contenere: gli ulteriori iscritti pagano quello che possono, in base alle loro possibilità. Con le scuole medie e superiori, poi, partendo da Milano e Torino, ci stiamo organizzando coi nostri Ethics Officer per andare a parlare ai ragazzi di etica nel lavoro, nello sport, per mettere delle “schegge etiche”.
Alcuni settori economici sono più avanti sulla Csr, altri sono partiti in ritardo. Perché state monitorando il settore del lusso?
Ho da poco pubblicato un articolo al riguardo. Da ricerche internazionali è emerso chiaramente che le motivazioni all’acquisto di prodotti di lusso sono varie, ma una delle principali è dare un segnale del divario sociale: io me lo posso permettere, tu no. È una sorta di solco non-etico: come l’etica può sposarsi con il piacere dell’ostentazione della differenza? AssoEtica, ad esempio, per parlarne ha aperto una collaborazione con la rivista Luxury Files, che intende approfondire il tema dell’etica nel lusso.
Ma la crisi, nella sua durezza, sta producendo nel sistema economico il cambiamento etico che si poteva auspicare?
In generale non vedo i presupposti per una svolta. Stiamo ancora pagando il non rispetto non dico dell’equità, ma della decenza, delle azioni nefaste poste in essere da persone irresponsabili che coprivano incarichi di responsabilità. C’è, sì, uno sdegno crescente: la consapevolezza, anche fra i giovani, che non si può andare avanti così. Ciò è il presupposto per un cambiamento più ampio, che però è ancora di là da venire. Si vuole più etica, ma manca l’azione. Inoltre, l’etica è una questione che si pone quando c’è una relazione. Se manca la relazione…
Andrea Di Turi
A cura di ETicaNews