16 aprile 2013 – Se osserviamo l’etichetta di un capo di abbigliamento scopriremo facilmente come lavarlo e dove è stato prodotto. Adesso, grazie a Internet, appare all’orizzonte la possibilità di sapere molto di più anche sulla sua etichetta etica.

Fino a oggi è stato assai difficile, per esempio, conoscere qualcosa sul “come” un capo d’abbigliamento è stato prodotto. Le vicissitudini etiche della maglietta o dei jeans appesi nell’armadio, intese come il trattamento a cui sono sottoposti gli operai che lavorano direttamente o per conto di un fornitore di un determinato brand, sono rimaste per lungo tempo disperse nel mare magnum delle comunicazioni di natura pubblicitaria di molti famosi nomi dell’abbigliamento, nostrani e non. In tempi più recenti invece l’effetto cassa di risonanza del web ha contribuito a divulgare nel minor tempo e più diffusamente le pratiche poco trasparenti di alcuni brand che hanno delocalizzato in Paesi del Sud Est asiatico, e non solo. Data quindi questa valenza del web, nonché la sua accessibilità, un’associazione no-profit ha deciso di lanciare il sito MeasureUp per consentire ai consumatori–internauti di valutare la sostenibilità delle marche abitualmente acquistate attraverso pochi click.

Come si valuta l’etichetta sostenibile? Attraverso una matrice di facile lettura in grado di sintetizzare graficamente numerose informazioni relative a più di 50 brand. Per ciascun di questi infatti viene verificata l’adesione o meno a dieci indicatori di sostenibilità attraverso il disegno di un semaforo: rosso per indicare la mancata adesione, verde per confermare l’adozione del criterio e giallo per segnalare il tentativo in corso da parte dell’azienda di introdurre quanto previsto dai criteri di sostenibilità. Il sistema permette sia di effettuare confronti per gruppi di marchi sia di visualizzare in un’unica matrice tutti i brand finora presi in esame. Alcuni, alle orecchie degli italiani, suonano tuttavia poco familiari in quanto non ancora approdati sulla nostra rete commerciale. Come il brand che ha ottenuto il semaforo verde su tutti gli indicatori: People Tree, riconosciuto nel Regno Unito sia dai consumatori sia dai media del settore come il pioniere del fashion equo e sostenibile sin dal 2001.

A promuovere MeasureUp è un’organizzazione no profit presente nel Regno Unito e affiliata all’Ethical Fashion Forum’s Fellowship 500 il cui scopo principale è quello di far collaborare diversi soggetti per implementare criteri di sostenibilità nel settore della moda. Il denaro necessario per mettere in piedi l’iniziativa è stato raccolto dagli stessi soggetti che hanno verificato le informazioni e hanno programmato il sistema che è estraneo ad ogni contributo economico da parte dell’industria del fashion. Tra i gruppi analizzati attraverso la matrice vi sono non solo i brand distribuiti nel Regno Unito e quelli del lusso internazionale, tra cui Lvmh, Fendi e Kenzo, ma anche quelli del “pronto moda” più diffusi tra cui Accessorize, Bershka, Gap, H&M e Zara.

Nonostante la mancanza talvolta di dati aggiornati, il sito permette anche di leggere le risposte fornite dalle aziende interpellate sui motivi della mancata adesione ai criteri. Una formula che sembra trovare il gradimento dei visitatori: nonostante il sito sia on line da meno di un anno (è stato lanciato a luglio del 2012) la sua “user base” è pari a circa 1.500 utenti unici al mese. Nella sezione “indicators” vengono illustrati nel dettaglio i criteri utilizzati per arrivare alla stesura della matrice: si va dalla previsione contenuta nel codice etico di salari adeguati al costo della vita all’applicazione del codice etico anche alla supply chain, dall’esistenza di un elenco pubblicamente consultabile delle sedi dei fornitori alla verifica della periodicità dei controlli. L’attenzione al momento della verifica delle condizioni in cui operano i lavoratore è molto elevata: tra i requisiti verificati da MeasureUp vi la previsione o meno di controlli a sorpresa presso le sedi produttive e l’esistenza di eventuali meccanismi di segnalazione da parte del lavoratore di eventuali problemi interno allo stabilimento.

Oltre a diffondere in modo semplice e diretto presso l’opinione pubblica quanto realmente accade nel dietro le quinte del mondo della moda, MeasureUp si prefigge l’obiettivo di stimolare nelle “ultime delle classe” un sano istinto di competizione per colmare il gap con le aziende più virtuose. In questo senso il punto cruciale sembra essere la propensione o meno a rendere pubblici i risultati dei controlli. Alcune aziende hanno infatti già iniziato a pubblicare sul loro sito resoconti dettagliati relativi ai “social audit”. In questo modo possono prendere una posizione chiara e immediata nei confronti di eventuali fatti emersi nel corso degli accertamenti tra cui l’impiego di lavoro minorile o la violazioni alle procedure di sicurezza. Rendere queste informazioni pubbliche, come ribadiscono i fondatori di MeasureUp è di fatto una decisione coraggiosa dal momento che espone brand conosciuti in tutto il mondo a possibili critiche e li pone sotto l’osservazione continua dei media e delle associazioni non governative. Molte aziende, tra cui molti grandi marchi monitorati dal sito, hanno tuttavia compreso quanto la trasparenza possa essere considerata un valore presso gran parte dell’opinione pubblica. Ammettere che nel processo produttivo qualcosa non sta funzionando è il primo passo infatti per porvi rimedio.

Rosaria Barrile

 

A cura di ETicaNews