15 gennaio 2013 – Venti di trasparenza sui finanziamenti alla politica soffiano sempre più forte negli Stati Uniti. Una lezione che anche l’Italia, in piena campagna elettorale, dovrebbe imparare in fretta. La Sec ha inserito nella sua agenda una regola che richiede la disclosure delle spese per il finanziamento della politica sostenute dalle società quotate in Borsa. La regola è attesa per aprile.

Che cosa sta muovendo la Commissione di vigilanza Usa ad agire in questo senso? Innanzitutto il fatto che le elezioni politiche americane del 2012 sono state le più costose di sempre e gli investitori sono molto sensibili ai contributi dati dalle corporation.

Inoltre, un altro fatto è intervenuto l’anno scorso. Nel luglio scorso, una decisione della Corte Suprema ha confermato una sua precedente posizione, la cosiddetta Citizens United, che eliminava i limiti posti ai finanziamenti delle imprese per le loro spese in comunicazione politica dal Montana’s century-old Corrupt Practices Act. In pratica, i magistrati hanno detto che le corporation non hanno limiti di spesa per influire nelle elezioni politiche.

Ebbene, se non ci sono restrizioni, almeno che ci sia trasparenza, devono aver pensato allora i membri della Sec, sollecitata precedentemente anche da un altro fronte. Come già documentato da Eticanews , nel 2011 è partita una petizione promossa da un gruppo di professori universitari guidati da Lucian Bebchuk dell’università di Harvard e da Robert Jackson della Columbia University che hanno raccolto oltre 300mila firme, presentate alla Commissione per chiedere che le spese siano pubbliche e trasparenti. Ma non solo. L’anno scorso anche numerosi azionisti hanno presentato alla Sec proposte che chiedevano l’informativa a riguardo.

Le motivazioni alla base delle richieste di trasparenze di azionisti e investitori non riguardano tanto il fatto se la società che loro stessi hanno finanziato finanzino a loro volta partiti politici sgraditi o i motivi per cui lo facciano (fare attività di lobbying non è un peccato negli Usa), ma piuttosto il fatto che tali donazioni se non rese pubbliche e trasparenti possano creare un rischio legale e/o un danno all’immagine dell’impresa e quindi di conseguenza essere un rischio economico per l’impresa e, a cascata, per i suoi azionisti.

Anche se non ancora perfettamente trasparenti, già diverse società americane si sono dotate di una disclosure sui finanziamenti alla politica (per esempio Procter & Gamble), ma con la nuova regola della Sec si imporrebbe un obbligo universale che avrebbe anche un altro vantaggio: quello di riunire in un unico documento tali informazioni, garantendo una maggiore facilità di accesso da parte degli investitori.

Gli Stati Uniti si dimostrano ancora una volta all’avanguardia in tema di corporate governante, mentre in Italia la trasparenza delle società e ancor di più l’origine dei finanziamenti ai partiti e alla politica è ancora di là da venire, soprattutto perché le donazioni provengono più spesso dagli imprenditori che non dalle imprese, che redigono un bilancio.

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews