4 giugno 2013 – Biocarburanti dalle alghe Venezia all’avanguardia “Ma servono più risorse”Investimenti e terreni per il nuovo “bio-sogno” . Secondo il Wall Street Journal è una delle cinque scoperte che cambieranno il mondo. Parliamo dei biocarburanti estratti dalle alghe marine che, se prodotti su vasta scala, potrebbero contribuire a ridurre le emissioni di gas serra e insieme diventare un gigantesco business. Oppure, più modestamente, per fare un passo avanti verso l’autosufficienza energetica: questa era l’idea dell’Autorità Portuale di Venezia quando nel 2011 aveva avviato un progetto pilota nell’isola di Pellestrina. L’accordo coinvolgeva eNave Srl, società controllata dal porto, Veneto Agricoltura ed Enalg Spa, azienda che detiene l’esclusiva per l’Italia della produzione di biocombustibile da biomasse algali secondo le tecnologie della spagnola BFS Biofuel System. «Un progetto che però ora è in standby perché troppo piccolo per poter produrre tutta l’energia necessaria», spiega Gabriella Chiellino, presidente di eNave e di eAmbiente Srl, società di consulenza e ingegneria ambientale. «Da un bioreattore – dice – si ottengono 30 chili di polpa d’alga al giorno, da cui vengono estratti 3 chili di biocombustibile. Per aumentare la produzione servono quindi più bioreattori, che a Venezia al momento sono solo due. E ciò significa più investimenti e più terreno a disposizione». La produzione di questo nuovo combustibile sfrutta il più importante processo di trasformazione dell’energia solare in materia organica esistente in natura: la fotosintesi. Le alghe vengono selezionate e allevate in laboratorio e poi trasferite in bioreattori cilindrici trasparenti dove, grazie all’immissione di acqua, CO2 e ai raggi solari, ne vie- ne moltiplicata la massa. La polpa d’alga prodotta viene quindi processata e trasformata nell’olio da cui viene estratto il biocarburante. Un combustibile paragonabile a quello di origine fossile, ma a «chilometro zero», e soprattutto in grado di sosti tuire i biocarburanti ricavati da piante per le quali possono essere utilizzati terre coltivabili, creando altri problemi. Ma l’esperimento veneziano ben dimostra anche i limiti che frenano il ricorso a questi nuovi biocarburanti. «È un bene investire nella ricerca, ma poi abbiamo bisogno di tanti “zeri” per avviare una produzione su larga scala, oltre che di terreni vasti e ricchi di sole – spiega Chiellino – e in Italia disporre di superfici ampie quanto serve è difficile».
Di Giulia Anita Bari – La Stampa