15 aprile 2014 – Nei giorni scorsi si è verificato un fatto che probabilmente cambierà il mondo del crowdfunding per sempre. Si tratta del caso Oculus Rift: un dispositivo per la realtà virtuale in 3D che nel 2012 su Kickstarter ha raccolto $2,4 milioni in trenta giorni da 9.588 sostenitori, a dispetto di un target originario di $250,000. Ebbene, il caso nasce dal fatto che la società è stata venduta a Facebook per l’astronomica cifra di due miliardi di dollari. Mentre soci fondatori e venture capitalist portano a casa un profitto clamoroso, i 9.588 sostenitori che hanno versato somme per trasformare i progetto imprenditoriale in realtà non vedranno nemmeno un centesimo e si dovranno accontentare del solo dispositivo, disponibile in un futuro imprecisato.
Questa è la natura del crowdfunding reward-based: i sostenitori ricevono soltanto una ricompensa il cui valore non supera quello della somma donata o preacquistano un prodotto consentendo all’impresa di andare in produzione solo a break even garantito. Si tratta di un tipo di crowdfunding molto adatto per i progetti early stage, nei quali l’imprenditore deve dimostrare il gradimento del pubblico e il successo del prodotto, prima di avventurarsi in più complesse operazioni sul capitale di rischio.
Quando il progetto si trova in una fase più avanzata, il contributo del sostenitore è un vero e proprio investimento (tanto che ormai si parla diffusamente di crowd-investing), meritevole di adeguati ritorni finanziari: l’evoluzione del modello reward-based, infatti, è l’equity crowdfunding, nel quale i sostenitori acquistano una quota del business del proponente; se i sostenitori di Oculus Rift avessero sottoscritto quote della società, avrebbero avuto una cospicua fetta del grosso profitto realizzato con la cessione a Facebook.
Questo è il futuro; non a caso nel suo recente rapporto sul crowdfunding la Banca Mondiale stima che il crowd-investing nel 2025 supererà i 92 miliardi di dollari, impegnando l’1,6% del risparmio delle famiglie.
L’ETICA DELL’EQUITY
I moltissimi sostenitori di Oculus Rift che stanno invadendo i blog con commenti negativi sapevano bene che non avrebbero guadagnato nulla sostenendo un progetto reward-based, tuttavia, facendone una questione etica, lamentano che ora ci si approfitti della loro generosità: qualcuno ha consentito che il crowd finanziasse l’innovazione, ma senza permettere al crowd di avere dei ritorni. Le critiche sono particolarmente accese negli Usa dove la normativa che consente al vero crowd (cioè gli investitori non professionali) di investire online non è ancora stata attuata e dove solo ai cosiddetti investitori accreditati (fondi, investitori istituzionali e ricchi signori) è consentito l’accesso all’equity crowdfunding.
In Italia, primo Paese al mondo, la normativa sull’equity crowdfunding è pienamente attuata (anche se limitatamente alle startup innovative), tre piattaforme hanno avviato le operazioni e il primo deal è stato finanziato. Altre piattaforme si stanno organizzando e altri progetti sono in rampa di lancio.
È verissimo che gli investimenti in equity sono rischiosi e che molte aziende falliscono, ma è altrettanto vero che il crowd spende molti soldi in progetti reward-based o donazioni o in acquisti di oggetti superflui, senza avere alcun ritorno. È altrettanto vero che ogni anno gli Italiani spendono 6,8 miliardi di euro nel gioco del lotto e 10,2 miliardi di euro nel “gratta e vinci”.
Dare al crowd la possibilità di finanziare l’innovazione e di ottenerne, se del caso, un profitto rappresenta una grande democratizzazione e possiamo solo essere fieri che si tratti di una iniziativa di cui l’Italia è stata un precursore mondiale. Dopo il caso Oculus Rift, il finanziamento all’innovazione si sposterà sempre più dal reward all’equity crowdfunding; i sostenitori di un progetto cercheranno di potersi avvantaggiare del suo successo e l’innovazione sarà finanziata con maggior consapevolezza e in modo etico.
PERCHÉ SOLO STARTUP INNOVATIVE?
Per poter dare veramente una lezione di democrazia finanziaria al mondo sarebbe opportuno che l’Italia incrementasse la protezione dell’investitore non professionale, consentendogli di finanziare non solo le startup innovative, cioè le imprese più rischiose, ma anche le più comprensibili piccole e medie imprese ordinarie che stentano a reperire risorse finanziarie e che sono il vero motore della nostra economia. Un autorevole studio (Crowdfund Capital Advisors, How Does Crowdfunding Impact Job Creation, Usa, 2014) ha dimostrato che un equity crowdfunding di successo aumenta le vendite del 351% e che in media l’87% delle aziende crea 2,2 posti di lavoro per azienda nei primi tre mesi.
Alessandro M. Lerro
A cura di ETicaNews