5 dicembre 2012 – «La Csr ha appassionato la mia squadra di lavoro, e anche il Governo». Danilo Giovanni Festa, direttore generale della Direzione per il Terzo Settore e le Formazioni Sociali presso il ministero del Lavoro, non perde occasione per annunciare quello che per l’Italia è un risultato storico in termini di responsabilità sociale d’impresa: la creazione di un Piano Nazionale sulla Csr che «a inizio gennaio saremo in grado di presentare a Bruxelles nella versione definitiva». Da qui al prossimo anno, è previsto un cammino a tappe forzate di verifiche e consultazioni con un coinvolgimento che mai si era visto. Incaricato nel settembre 2011 di realizzare l’Action Plan, in risposta alla Comunicazione 681 ai Paesi membri predisposta in quel periodo dalla Commissione, Festa sembra essere rimasto coinvolto in maniera quasi personale. Non teme di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (verso le grandi industrie e le università) e ribatte: «Certo, abbiamo ricevuto critiche, e le accettiamo. Ma abbiamo fatto qualcosa che prima non esisteva. E saremo tra i primi a consegnarlo in Europa». Senza dimenticare l’impegno sul social business. Festa fa parte del Geces, Groupe d’experts de la Commission sur l’entrepreneuriat social, un nuovo organismo che ha avuto la sua prima riunione il 5 giugno del 2011 (e la seconda il 27 novembre scorso), da cui il dirigente si attende l’altra metà delle soddisfazioni, ossia «l’altra parte del volano che, assieme alla Csr, può dare una spinta al sistema».
Insomma, sembra che l’Italia sia a un passo dalla svolta. E oggi potrebbe essere il giorno chiave.
Sì, tra oggi e domani ci siamo posti l’obiettivo di terminare l’assemblaggio dell’Action Plan, ovvero integrare le considerazioni ricevute fino allo scorso 21 novembre dai soggetti coinvolti (pubblica amministrazione, mondo associativo, aziende, parti sociali e terzo settore, ndr). Poi dal 12 dicembre contiamo di mettere il documento sul sito del ministero del Lavoro e su quello dello Sviluppo economico, una consultazione in tandem che non si è mai fatta prima.
Una consultazione rivolta a chi?
A tutti, perché il progetto ha cercato di contattare il numero più ampio di soggetti. Ma la tematica della Csr merita uno sforzo di comunicazione assai maggiore rispetto a quanto è stato possibile. Dunque, in questo modo diamo l’opportunità a chiunque di esprimere una valutazione. Raccoglieremo i suggerimenti, poi vorremmo arrivare alla fine di dicembre con il documento finale, per inviarlo al massimo a inizio gennaio a Bruxelles.
È un buon risultato?
Saremo tra i primi a rispondere alla Commissione europea. In più, ci siamo presi anche l’impegno di redigere un piano d’azione sui diritti umani, in sede separata da quello sulla Csr. Una scelta fatta da pochi Paesi, 5-6 in tutto, e che presenteremo entro giugno 2013.
Come giudica il lavoro svolto?
È il primo lavoro di questo genere. Qualche critica la accettiamo. Forse poteva essere fatto meglio, ma dobbiamo ricordare che prima non c’era nulla. Di certo, mi ha appassionato, e ha appassionato anche il governo, a cominciare dal sottosegretario alle Politiche sociali Maria Cecilia Guerra. Lo stesso ministro del Lavoro, lo scorso 5 ottobre, ha inserito la Csr nelle linee di indirizzo per il triennio 2012-15. Non era mai accaduto che la Csr entrasse in un documento programmatico ufficiale di un ministero.
Insomma, diventa un obiettivo strategico. Come ha risposto il sistema?
Abbiamo registrato un generale entusiasmo. Piccole e medie imprese, Abi, Unioncamere hanno aderito con trasporto. Forse, a livello di grande industria si poteva spingere un po’ di più. Occorre capire che la Csr è un modello di competitività. Il consumatore è disposto a spendere di più per una maggiore garanzia di responsabilità sociale.
E il terzo settore?
Abbiamo cercato di coinvolgerlo il più possibile. A maggio abbiamo inviato almeno 150 richieste di partecipazione. Abbiamo creato un tavolo misto che ha ospitato, tra gli altri, il Forum del terzo settore, le cooperative, i sindacati e le associazioni dei consumatori. Adesso, anche per dare un’opportunità a coloro che non siamo riusciti a raggiungere, si aprono le consultazioni.
L’Action Plan forse meritava uno sforzo di comunicazione maggiore?
Il problema è che la Csr non ha presa sui giornali. Per trovare spazio occorreva acquistare spazi. E per questo non c’era il budget. Occorre diffondere consapevolezza, fare educazione. A cominciare dalle università. Le quali hanno le loro responsabilità. Se non si crea consapevolezza è difficile ottenere attenzione sui media. Ebbene, abbiamo richiesto alla Conferenza dei rettori italiani di segnalarci i corsi sulla Csr nei propri atenei. Non abbiamo ricevuto risposta.
A cura di ETicaNews