7 novembre 2012 – È l’Italia popolare che sostiene la democrazia fiscale del 5 per mille al terzo settore. La vera anima del Paese, dunque, quella che ambisce e si impegna per una sorta di wiki-governance delle risorse fiscali, ancora una volta è quella lontana dalle élite, dalle ricche corporazioni, dalle caste di comando. È quanto emerge dalla prima analisi del contribuente del 5 per mille, contenuta in una più ampia ricerca sul fenomeno, intitolata “Il 5X1000 come strumento di partecipazione nel nuovo modello di welfare” e curata dall’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), ente nazionale di ricerca, sottoposto alla vigilanza del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il lavoro, presentato lo scorso 31 ottobre a Roma, ricostruisce l’ampio quadro normativo alla base del 5 per mille, individua i soggetti titolati, nonché tenta il confronto internazionale. Soprattutto, affronta uno spaccato storico, statistico e sociale di un istituto giuridico che ha battuto le aspettative iniziali (la prima applicazione è del 2007), sia in termini di risorse sia nella dimostrazione di voglia di wiki-gestione della cosa pubblica. Tuttavia, un istituto che, spiega la ricerca, è rimasto ancorato alla fase sperimentale, in attesa delle auspicabili integrazioni legislative e istituzionali.

Il risultato più significativo dell’analisi, in ogni caso, riguarda il profilo del contribuente: «Coloro che devolvono il 5X1000 a favore di enti del Terzo Settore – si legge nella sintsi sul sito Isfol – sono principalmente due gruppi: i “pensionati urbani a reddito mediobasso” e gli “occupati di classe media residenti in provincia”. Sono quindi coloro che appartengono alla fascia mediana della popolazione, non le élites, ma l’Italia popolare».
L’IDENTIKIT

Entrando nel dettaglio, «l’identikit del donatore – si legge nelle conclusioni – secondo i dati raccolti dalle interviste, sembra essere il seguente: i contribuenti che decidono di destinare il 5X1000 dell’Irpef ad organizzazioni sociali sono per lo più individui in età matura con famiglia e in molti casi con figli, dotati di un titolo di studio medio-alto (68,1%), lavorano alle dipendenze (32,3%) o sono in pensione (32,1%), con un reddito non superiore ai 30mila euro annui (69%), risiedono per lo più in piccoli centri (77,2%). Sotto il profilo valoriale, hanno un legame forte con la tradizione cattolica o comunque sono credenti (85,7%). Nulla invece si può dire sulla provenienza geografica: per una volta l’Italia sembra unita nello spirito filantropico, anche in periodi di congiuntura economica sfavorevole».

Dal punto di vista dell’impegno e del civismo, sono state rivolte alcune domande per capire se si tratti di donatori “una tantum” o a donatori abituali: «Il 72% degli individui contattati ha dichiarato di aver fatto una donazione in denaro a scopo benefico nei dodici mesi precedenti l’intervista; più di un intervistato su cinque afferma di essere attualmente coinvolto in un’attività non retribuita all’interno di un’organizzazione di volontariato, quasi il 70% è iscritto a un’organizzazione non profit, l’88,2% aveva donato il 5×1000 anche l’anno precedente. Il donatore-tipo quindi è ben inserito nel circuito che finanzia ed è da considerare una persona (spesso donna) con un’alta propensione al civismo e al dono».
QUANTO E A CHI

Gli ultimi dati disponibili, spiega la ricerca, si riferiscono all’edizione 2009 e confermano l’affezione dei contribuenti italiani per il nuovo meccanismo: la somma complessivamente devoluta con le dichiarazioni dei redditi di quell’anno ammonta, infatti, a 420 milioni di euro. Continuano a crescere, dunque, le somme da erogare, e anche il numero dei contribuenti che hanno esercitato la facoltà di indicare un ente al quale devolvere parte dell’imposta dovuta è rimasto saldamente ancorato oltre la vetta dei 15 milioni. Dai dati emerge, inoltre, che la categoria che trae maggior beneficio dal 5 per mille continua ad essere quella delle Onlus e del volontariato, che riceve per il 2009 il consistente ammontare di 267,7 milioni di euro, seguita dagli enti della ricerca scientifica e dell’università (63,6 milioni) e dagli enti della ricerca sanitaria (61,3 milioni). Con un notevole distacco seguono poi i Comuni, ai quali vengono assegnati 13,2 milioni, e le associazioni sportive dilettantistiche, con circa 6,1 milioni.

L’indagine, inoltre, rileva l’esigenza dei contribuenti di non essere considerati come clienti/utenti dei servizi, ma come persone portatrici di una propria visione del mondo, che ci si aspetta di ritrovare all’interno delle associazioni finanziate. Il 32,6%, infatti, indica tra i motivi della scelta la condivisione dell’ideologia/del pensiero che ispira l’organizzazione che si sceglie di finanziare.

 

A cura di ETicaNews