28 gennaio 2014 – Guardano con interesse crescente ai criteri Esg (Enviromental, social e governance) ma faticano a implementare questi parametri nelle scelte d’investimento. E’ questo l’atteggiamento diffuso tra i proprietari di grandi attivi finanziari in Europa, secondo il sondaggio annuale condotto da Novethic e presentato in occasione della conferenza annuale di dicembre (Esg Startegy of european asset owners. From theory to practice). La società di ricerca francese specializzata sui temi della finanza responsabile ha quest’anno esteso il sondaggio a 165 investitori di lungo termine, come fondi pensione e compagnie assicurative, con sedi in 12 Paesi del Vecchio Continente (dalla Francia alla Germania, dalla Danimarca alla Gran Bretagna, ma senza considerare l’Italia) e asset complessivi per oltre 5mila miliardi di euro. Dunque un campione corposo, utile a comprendere l’evoluzione nelle scelte di investimento nell’era post-crisi.

FOCUS SULLA GESTIONE DEL RISCHIO

Uno degli elementi di maggiore novità rispetto al passato è nella maturità raggiunta dai grandi investitori sui temi Esg. La scelta di considerare investimenti in linea con questi requisiti, infatti, non è più mossa esclusivamente da ragioni etiche o reputazionali (che rischiano di perdere vigore con il trascorrere del tempo, in seguito a cambi di strategie o magari a nuove crisi sistemiche che impegno un rapido cambio di rotta), ma da una logica più complessiva che considera anche gli effetti che queste pratiche possono avere sulla volatilità e sui rendimenti del portafoglio. Così, se nel 2011 il 51% dei grandi investitori affermava di adottare criteri Esg in primo luogo per contribuire allo sviluppo sostenibile, nel 2013 si è scesi al 38%. Nello stesso periodo è cresciuto dal 25 al 33% il numero di coloro che mettono al primo posto la gestione del rischio a lungo termine. La protezione della reputazione è passata dal 19 al 18% e l’attesa performance finanziaria dal 7 al 9%. In altre parole, gli investitori riconoscono la rilevanza concreta dell’integrazione dei criteri Esg.

TRA IL DIRE E IL FARE…

Allo stesso tempo però l’implementazione di politiche di investimento responsabile è “stagnante”. Secondo la ricerca, il 65% dei grandi investitori ha detto di aver adottato lo scorso anno policy formali per spiegare come i criteri Esg sono presi in considerazione nella gestione degli asset, un dato in sensibile crescita rispetto al 42% del 2011 e in progresso anche sul 61% registrato nel 2012. Tuttavia, quando si tratta di passare dalle enunciazioni alle scelte concrete di investimento le cose cambiano.

«Alcune strategie considerate ormai comuni – scrive Novethic – come l’esclusione delle armi controverse, sono addirittura in declino». Dal sondaggio è emerso che sono state escluse dal 67% degli investitori, il 5% in meno rispetto alla rilevazione dell’anno precedente. Se è vero che il risultato dipende molto dall’ampliamento della base degli intervistati (alcuni dei quali non sono ancora familiari con i temi degli investimenti responsabili), allo stesso tempo mostra la necessità di una maggiore consapevolezza. Lo stesso vale, pur se in misura ridotta, anche nei confronti delle esclusioni che riguardano, per esempio, aziende che contribuiscono a inquinare, sono attive nella pornografia o nel gioco d’azzardo (al contrario, crescono solo le esclusioni nei confronti del business nucleare e dell’industria del tabacco).

In molti casi le politiche di investimento responsabile rimangono superficiali. E non affrontano i temi critici sull’impatto degli investimenti. Spesso non vi sono policy precise che definiscano la posizione degli investitori su specifici settori considerati sensibili (sector-specific Esg policies) come le attività legate all’energia, all’agricoltura o alle infratsutture. Si tratta di politiche che, al contrario delle esclusioni sector- based, non escludono completamente i settori in questione ma circoscrivono l’approccio da tenere sulle tematiche sensibili. «Il sondaggio mostra – scrive Novethic – che questa non è una pratica ben conosciuta. Solo il 10% degli investitori europei la adotta». Lo studio rileva inoltre che generalmente gli investitori non si sentono messi sotto pressione dai stakeholder. «La maggior parte degli investitori europei, esclusi quelli danesi e nordici, non sono mai stati criticati dalle Ngo’s, dai sindacati e dai media per i loro investimenti».

Luigi Dell’Olio

 

A cura di ETicaNews