26 giugno 2013 – Tecnologia e responsabilità sociale. La questione è di sempre maggiore rilevanza, soprattutto se ciò che ha migliorato la vita di molti, rischia di peggiorare quella di altri. E così Ing fa il punto della situazione sull’industria elettronica, definendone sia i punti di forza che i rischi legati alla sostenibilità: difesa dei diritti umani, inquinamento e rispetto della privacy.

L’analisi parte dalla considerazione che la tecnologia abbia migliorato la qualità di vita di gran parte della popolazione. E numerose sono le opportunità che ancora offre per costruire una società migliore e più equa. Basti pensare al ruolo che hanno giocato le nuove tecnologie durante la Primavera Araba, così come, negli ultimi giorni, durante le rivolte in Turchia. Ma anche in situazioni di minore eccezionalità si sono riscontrati grandi benefici: i sistemi di Cloud Computing permettono la condivisione di file anche a grandi distanze, accelerando i tempi e diminuendo gli sprechi, l’utilizzo di analitici consente alle compagnie, così come ai clienti, di avere approfondimenti mirati e dati attendibili da utilizzare per analizzare il mercato.

Rischia però di non essere tutto oro ciò che luccica: la tecnologia porta con se anche dei fattori di rischio, di cui sia clienti sia investitori devono essere consapevoli. Ing li ordina, offrendo una panoramica della questione e piccoli suggerimenti per migliorare la situazione corrente.

Il primo fattore di rischio giunge dalla Supply Chain: la produzione e l’estrazione delle materie prime è infatti un ambito delicato. Molte di quelle utilizzate nella produzione di materiale elettronico, quali stagno, tungsteno, tantalio e oro, giungono da zone di guerra. Negli anni passati i fornitori, per abbassare i costi, hanno fatto affidamento prevalentemente sui minerali estratti nella Repubblica Democratica del Congo. Minerali “in saldo”, poiché provenienti dal traffico controllato da gruppi armati ribelli che, in questi anni, hanno fatto un uso indiscriminato della violenza e violato i diritti umani delle popolazioni autoctone. Ing sottolinea perciò la necessità di evitare di commerciare con queste zone bellicose. E non solo per una questione etica. Nel 2012 anche la Security Exchange Commission (Sec) americana ha affrontato la problematica emanando il Dodd Frank Act. Ad ogni compagnia quotata sui mercati regolamentati dalla Sec sarà richiesto di redigere un contratto di manifattura per dichiarare se le materie prime utilizzate giungono da zone di conflitto. Il primo report della Sec sui minerali di guerra verrà redatto l’anno prossimo e le compagnie avranno due anni per cambiare i propri suppliers affidandosi a miniere libere dai conflitti. Anche la Public-Private Alliance for Responsible Minerals Trade, nata dall’unione di diversi stakeholder, affronta il problema dei minerali di guerra, sviluppando certificazioni per attestarne la provenienza da zone sicure.

Esistono però anche altri rischi da tenere in considerazione. La privacy degli utenti è una delle questioni più delicate: attraverso un uso non eticamente corretto delle risorse, diversi governi, come Iran, Cina, Libia, Egitto e Siria, hanno già mostrato come è possibile controllare i propri cittadini. Proprio i governi invece, secondo Ing, dovrebbero essere un motore propositivo per stimolare un uso più corretto dei mezzi tecnologici. A tal proposito è stata creata, dalla collaborazione di diversi stakeholders, la Global Network Initiative, a cui partecipano tra gli altri Google, Microsoft e Yahoo!. L’obiettivo è quello di affrontare le sfide poste dalle nuove tecnologie rispetto alla questione della libertà di espressione.

Come poi dimenticare il problema dell’inquinamento “tecnologico”. Da una parte i livelli di e-waste negli ultimi anni sono aumentati e, come da tempo denunciano numerose ricerche e organizzazioni non governative, i ritmi odierni non sono più sostenibili per il pianeta. Una soluzione viene dal riciclo. Dell e Hp, ad esempio, offrono uno sconto a quei consumatori che riportano i prodotti ormai dismessi. Allo stesso tempo gli agenti chimici utilizzati non devono mettere in pericolo o danneggiare ne le persone né l’ambiente circostante. Maggiore attenzione però è richiesta anche agli stessi acquirenti per comportamenti che siano sempre più responsabili.

Infine, sottolinea l’analisi condotta da Ing, il consumatore deve essere tutelato anche in termini monetari. Nel 2012 la Commissione Europea ha multato Samsung, Philips, LG Electronics, Technicolor, Panasonic e Toshiba per un totale di 1,47 miliardi di euro per aver fissato dei cartelli dal 1996 al 2006.

E allora come valutare le aziende che stanno facendo bene? Negli anni si sono sviluppate diverse iniziative che raggruppano i maggiori player nel settore per mettere in atto pratiche più responsabili. Tra queste l’Electronics Industry Citizenship Coalition (Eicc) a cui hanno aderito Hp, Dell, Apple e Cisco, condividendo uno stesso codice di condotta rispetto alla supply chain. O la Global e-sustainability Initiative (Gesi) che si concentra sui problemi sociali e ambientali legati allo sviluppo tecnologico.

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews