2 settembre 2014 – «Il valore aggiunto immateriale sarà il maggiore fattore di competitività del prossimo ciclo economico». E, di conseguenza, in Italia si potrebbe parlare di «una ‘Societal Renaissance’, una rinascita civica non soltanto tecnologica». È un’ambizione forte quella che si coglie interpellando i protagonisti dell’incontro che il prossimo 9 settembre porterà a Firenze (dopo le tappe di Torino, Bologna, Roma e Palermo) il road show del Piano triennale di sostenibilità di Unipol. La leva per spingere verso questo Rinascimento è la social innovation, tema del convegno (dalle 10:00 presso l’Impact Hub) “L’innovazione sociale: un’opportunità per la creazione di start up” (scarica invito). Si tratta di un tema indicato espressamente nelle dieci politiche contenute nel piano triennale (la decima: “Offrire supporto al territorio, in partnership con gli altri attori sociali, per sperimentare e consolidare processi d’innovazione ad alto valore sociale”) su cui il gruppo bolognese sta puntando molte delle ambizioni di posizionamento e leadership territoriale. «L’innovazione sociale – si legge nell’invito all’incontro – risponde ai problemi sociali con strategie più efficienti e sostenibili delle esistenti, capaci di creare un valore maggiore per la società».
Nella realtà, quella dell’innovazione sociale è una sfida complessa e ad ampio raggio. Che comprende le nuove imprese, ma che impone un radicale ripensamento anche a quelle già “mature”. Che si gioca con carte importanti a livello nazionale, ma che non può prescindere dall’appoggio della cultura e delle politiche comunitarie. A Firenze, dove ETicaNews seguirà l’incontro in cronaca diretta via Twitter (hashtag #UnipolCsr) in qualità di media partner, ne parleranno rappresentanti istituzionali, i vertici di Unipol e imprenditori che hanno fatto dell’innovazione sociale la propria carta d’identità.
LA FIDUCIA D’IMPATTO
Imprenditori come Andrea Rapisardi, presidente di Lama, società di Firenze che da 7 anni propone le parole chiave «creatività, visione internazionale, reti e fiducia, attraverso i propri servizi di consulenza, lavorando per PA, terzo settore, imprese (gradi e piccole), società civile sia in Italia sia in Paesi in via di sviluppo o emergenti». Rapisardi è profondamente convinto che «i modelli economici e sociali sui quali si è basata la crescita negli ultimi 30 anni sono oggi non più sostenibili». Da economista dello sviluppo, l’imprenditore fiorentino scommette sulle «teorie che basano lo sviluppo economico e sociale non solo sull’aumento di produzione-commercio-consumo, ma anche e soprattutto sull’investimento in capitale sociale e su quello che viene chiamato sviluppo umano».
E, attenzione, questo non vale solo per le startup. «L’innovazione sociale è un concetto che deve necessariamente essere portante di una nuova cultura imprenditoriale che deve pervadere anche e soprattutto i settori maturi e in crisi». Per dare un forte stimolo in questa direzione, Lama ha lanciato Impact Hub Firenze, «luogo di aggregazione e confronto fra tutti coloro che intendono promuovere l’innovazione sociale», nonché rappresentanza «di una grande community internazionale». «Firenze – riprende l’imprenditore – è una città dalle enormi potenzialità nonostante non sia una grande metropoli. Ed è con progetti integrati di innovazione sociale che si riesce a riattivare e a rendere più competitivo il nostro territorio, la nostra comunità, il nostro tessuto imprenditoriale».
LA BATTAGLIA ISTITUZIONALE
Certo, c’è molto da fare, e talvolta emergono «forti perplessità – conclude Rapisardi – sulla capacità del nostro sistema Paese di sapersi dotare di una legislazione adeguata per sfruttare tali strumenti in modo agile, intelligente e sostenibile».
La battaglia, infatti, va giocata anche a livello istituzionale. Con prese di posizione e attività di advocacy negli ambienti chiamati a decidere. È un concetto che appartiene al Dna della Young Foundation, la quale sarà presente al convegno di Firenze con l’ad Simon Willis. La fondazione inglese, interviene Filippo Addarii che ne è Director of International Strategy and Head of EuropeLab, nasce nel 2000 per raccogliere l’eredità di Michael Young, uomo politico (nominato Lord a coronamento della carriera), sociologo e imprenditore sociale della Gran Bretagna del secondo dopoguerra. Dopo esperienze di Governo (tra le quali contribuì al lancio del servizio sanitario pubblico, partecipando al Beveridge Manifesto) si convinse della necessità di partire dalle comunità sociali «per la creazione delle soluzioni ai problemi», attraverso un efficace ridisegno delle istituzioni. L’innovazione sociale, secondo l’impostazione di Young, «è il rinnovo delle istituzioni – spiega Addarii – che strutturano la vita economica, sociale e politica della società. La loro proprietà e il loro sviluppo è nelle mani della gente che le mantiene vive perché servono i bisogni della comunità». In quest’ottica, «nella sua vita Michael Young ha creato più di ottanta istituzioni». E oggi la sfida della fondazione si gioca al livello istituzionale più alto: quello dell’Europa.
«La Young Foundation – continua Addarii – vanta come proprio successo di aver convinto la Commissione europea a fare propria l’innovazione sociale. La fondazione, infatti, sin dal 2008 ha guidato una coalizione di agenzie private per l’innovazione facendo advocacy presso la presidenza della Commissione. Nel 2010 l’innovazione sociale è comparsa per la prima volta nella strategia economica dell’Unione: Europe 2020, Innovation Union flagship initiative. L’Europa è stata tra le prime istituzioni a riconoscere nell’innovazione sociale un motore per lo sviluppo, ed è il finanziatore più generoso in questo ambito».
Il problema resta quello di concretizzare l’innovazione. La Fondazione, impegnata nel combattere le disuguaglianze sociali, «sta sviluppando un progetto – riprende Addarii – dedicato alle aziende: Open Sector, ovvero trasformare il business rendendone ogni aspetto trasparente e accessibile al pubblico (per esempio, pubblicando on line tutti gli stipendi, i contatti, le transazioni)». È un progetto ambizioso, quasi una sperimentazione. Ed è assai oltre gli obiettivi posti dall’Europa (che ha «relegato l’innovazione sociale alla Csr, al nonprofit e al volontariato»). Del resto, se la sfida è ridisegnare un modello che parta dalla comunità ed elimini le disuguaglianze, la scommessa è d’obbligo.
A cura di ETicaNews